Max mattutino

Il ticchettio delle unghie di Max sul pavimento, mi avvisa che il “signorino” vuole uscire. Niente di strano, anche se sono solo le sei. Purtroppo per me, è l’ora di tutte le mattine; sempre la stessa zolfa, e tocca sempre a me. Da più di un anno e mezzo, tutte le mattine, minuto più, minuto meno, il mio inseparabile amichetto a quattro zampe, mi viene a svegliare per la passeggiata “urinaria” . Si avvicina al letto e se non mi sveglio alla svelta si mette a leccarmi le mani, la faccia, i capelli, insomma quello che gli capita, pur di svegliarmi. Come buongiorno niente male…. d’estate, ma d’inverno, è ancora buio pesto e soprattutto freddo, ma lui ha la pelliccia, se ne frega. Solitamente mi alzo senza storie, ma stamattina mi pesa più del solito, forse ho dormito male, forse poco; mi pesa davvero. Mi vesto e una volta allacciato il guinzaglio, è Max che mi guida, tirandomi. Usciamo,è buio e i lampioni gialli che fendono a mala pena la nebbia, danno uno strano contorno a tutto. Max tira, come sempre e non servono a niente i richiami, è così: giovane ed irruente, lo invidio. Lo seguo, solo così evito che fatichiamo in due. Si ferma al solito albero e alzata la zampa da sollievo alla sua vescica, mentre io mi guardo assonnato intorno. Non c’è nessuno, solo io e quel diavoletto a quattro zampe, che fa di tutto per farsi voler bene. Max smette di fare pipì, ma al contrario delle sue abitudini di annusare tra erba e foglie, rimane col naso e lo sguardo puntati dritti davanti a se. La zampa anteriore alzata e ripiegata all’indietro, e la coda dritta, nella classica posizione del segugio da caccia. Punta dritto la scuola materna, ossia, in quella direzione, tenuto conto che a causa della nebbia, non si vede affatto. Dopo qualche istante, parte diretto senza esitazioni verso la massa oscura che dovrebbe essere la scuola; lo seguo a stento, vorrebbe correre. Arrivati alla recinzione laterale della scuola, Max si mette ritto appoggiato alla rete e fissa qualcosa, attraverso la siepe che sta subito al di là delle maglie di metallo. Mi avvicino di più e cerco di osservare meglio, ma il buio e il fogliame fitto mi impedisce di vedere. Max guaisce, gli parlo, lui insiste, drizza le orecchie e cerca con lo sguardo; percepisce qualche cosa che io non riesco a vedere o sentire. Mi stanco e cerco di portarlo via, lui si ostina. Guaisce sommessamente, una richiesta insistente. Monto sul muretto per guardare oltre la recinzione e nella penombra intravedo soltanto dei bidoni, vicino alla porta della cucina scolastica. Bidoni per la raccolta differenziata: Carta; Stracci; Umido; Plastica e Pile, oltre a quello più grande dei rifiuti generici. A parte quelle masse scure,appena illuminate da una lampada sulla porta di cucina, non vedo niente, ma mentre sto per scendere, mi sembra di sentire un sordo e rauco miagolio.

Stai a vedere che è un gatto ! Brontolo tra me e me, mentre Max, ora è agitato e frenetico; si muove a scatti, ora da un lato ora dall’altro, lungo la recinzione, mentre continua a guaire. Ma non è il solito guaito, è quasi un lamento. Lo ammonisco, voglio sentire meglio e lui, sembra capire si azzittisce, e di nuovo quel rauco e debolissimo miagolio fende la nebbia e il buio. Ascolto meglio e sembra provenire dall’interno di uno dei bidoni. Vuoi scommettere che un gatto è penetrato chissà come dentro uno dei bidoni e c’è rimasto intrappolato? - dico sommessamente a Max. Lui mi guarda e continua a puntare verso i bidoni, ricominciando a guaire. Mi decido, devo fare qualcosa. Lego il guinzaglio di Max alla recinzione, poi salgo sulla inferriata che non supera il metro e venti sopra il muretto, e mi lascio calare fino a terra. Max, vedendomi dall’altra parte, aumenta il mugolio. Mi dirigo verso i bidoni, e ascoltando sento che il lamento sommesso, proviene da quello della raccolta degli stracci. Alzo il pesante coperchio e… rimango di sasso. Appena aperto, quello che credevo essere un miagolio, si rivela essere un debolissimo e rauco vagito di neonato al limite delle possibilità delle sue corde vocali.

Ed è quello che intravedo, nel fondo scuro del bidone, appena rischiarato dalla luce giallognola del faretto sopra la porta della cucina: un neonato, avvolto in una grossa maglia di lana, da cui sbuca solo il viso. Sono inorridito, non so che fare, appoggio un grosso palo lì vicino per mantenere il coperchio sollevato, poi afferro a fatica il fagotto di lana con dentro il bambino. Ha il viso gelido come pure le manine. Oddio cosa faccio ora? Ho un’idea, apro la zip del mio giaccone, vi introduco il fagotto e alla meglio cerco di richiudere il più possibile la cerniera, in modo da formare una specie di marsupio, mentre con l’alito cerco di riscaldare l’aria su quel visino che intravedo appena. E adesso? Chiedo a Max, che da fuori salta sulla recinzione come se volesse entrare con me. Vado verso il cancello, ma è chiuso… solo allora mi ricordo che ho il cellulare; con le dita tremanti schiaccio 113, una voce maschile dall’accento veneto risponde: - Sala operativa del pronto impiego dica! Tutto d’un fiato e in maniera concitata gli dico che ho trovato un neonato semi assiderato in un cassonetto e che si sbrighino a mandare dei soccorsi, perché sono chiuso dentro il recinto della scuola e non riesco a scavalcare, col bambino. L’altro, per niente perturbato comincia a farmi tutta una serie di domande: Vuol sapere come mi chiamo, da dove chiamo, che ci faccio dentro una scuola a quest’ora.. ed io che quasi urlo che ho un bambino che sta morendo di freddo e che ha bisogno di cure immediate. Sembra aver capito la mia agitazione estrema e mi rassicura che ha già allertato il servizio medico. Abito a poco più di un chilometro dall’ospedale e dalla caserma dei pompieri, penso che faranno prestissimo. Ma i minuti mi sembrano una eternità, ho il cuore che mi scoppia in petto, le gambe e le mani che tremano, sudo, malgrado il freddo. Continuo ad alitare all’interno del giaccone per riscaldare il bambino, che adesso non piange più, anzi non si muove nemmeno più. Ho paura, una paura tremenda che sia morto. Cerco di ascoltare qualche rumore, di respiro se pur lieve, ma non sento niente e Max, che salta sulla recinzione sembra capire la mia disperazione. Finalmente odo le sirene: una.. due.. tre.. stanno arrivando: una pantera della polizia un’auto della guardia medica e un’ambulanza. Tutti fanno domande: dove l’ho trovato, quando l’ho trovato. Il medico prende subito il bambino e con lo stetoscopio sul petto ascolta quel corpicino ormai zittito. Non dice niente, io non ho il coraggio di chiedere se è vivo o meno. Non lo voglio sapere, ho le mani bianche, gelide, tremanti, poi l’ambulanza “decolla” seguita dall’auto della guardia medica, in un turbinio di luci blu e di sirene. Sono i poliziotti a prendersi cura di me, mi fanno salire sull’auto, mi sento soffocare, chiedo se posso abbassare il finestrino, e uso il braccio appoggiato sul vetro abbassato, come se fosse un cuscino, ed è in quel momento che Max, che si è liberato non so come, appoggiando le sue zampe anteriori sull’esterno della portiera mi lambisce festoso i capelli. Gli accarezzo il muso e mi maledico per averlo dimenticato in tutto quel trambusto Ma come cavolo si è liberato?Chiedo al poliziotto vicino a me, lui non risponde allora ripeto la domanda insistendo: Come si è liberato..? Come sarebbe a dire: come si è liberato…? sai bene che non è mai legato in casa… ma che fai stamattina nonlo porti a fare pipì…? Riconosco la voce di mia moglie, mi guardo intorno, improvvisamente mi accorgo che sono al buio, e che Max mi sta leccando i capelli..

Ho ancora il cuore in gola, ed è necessario qualche minuto prima di rendermi conto che è stato un incubo… sì solo un terribile, dannato e stramaledetto incubo… e scoprirlo mi fa tirare un sospiro di sollievo, mentre accarezzo Max, che, nella penombra della camera, mi sta guardando fremente, perché sa che tra qualche minuto andremo fuori, anche se ci aspetta il buio, la nebbia, il freddo e…. chi sa cosa!

Torna all'indice