Il sogno d'Angiolino (versione Italiana)
Le rève d'Angiolino (version française )
Il sogno di Angiolino (liberamente tratto da un fatto realmente accaduto)
Montenero di Bisaccia: era nato e cresciuto lì “Angiolino” (tutti lo chiamavano così a causa del suo fisico: tarchiato, non molto alto, occhi e capelli folti e scuri da tipico meridionale). Rimasto orfano del padre e con il solo mestiere di bracciante, in un paese dove il lavoro era affidato solo al “capolarato”, la vita non era facile. Giovanissimo fugge via da quel paese dove, si fa una enorme fatica, a trovar un lavoro, anche solo per poter mangiare. Un treno, un visto e alla fine degli anni quaranta il giovane contadino si trova catapultato in un altro mondo, ospite in un paese dalla terra scura, il cielo grigio, baracche di legno puzzolenti e fredde, un tempo usate in un campo di concentramento. Ma Angiolino, almeno ha trovato un lavoro, anche se è un mestiere che solo un uomo spinto dalla fame può scegliere come professione: minatore. Frastornato, non conoscendo la lingua, accodato a decine di altri connazionali disperati come lui, entra per la prima volta nel “Carreau de la Mine*” di quel paese del nord della Francia (*Carreau = complesso minerario formato dal pozzo di estrazione e dalle infrastrutture adiacenti) Dopo qualche formalità di rito, passa direttamente dal magazzino dove gli danno un elmetto di cuoio, a larghe tese, su cui è fissata una lanterna, e la batteria da attaccare alla cintura, poi via verso l’ascensore. Ogni novellino, è accoppiato a un minatore più esperto, che ha il compito di istruirlo, e lui ha come angelo custode un altro italiano con venti anni di miniera sulle spalle. Il giovane spaurito, lo sguardo perso a trecento sessanta gradi e lo sgomento nel cuore, si trova davanti alla “gabbia dell’ascensore” che sbuca sferragliando dal fondo delle viscere nere. Il cancello, rumorosamente si apre e ne scendono uomini stanchi e sporchi. Angiolino li guarda sorpreso, sono tutti neri di carbone. Su quelle facce scure, spiccano solo gli occhi stanchi e qualche raro sorriso. Saluti fugaci e subito la gabbia si riempie allo stremo. Il cancello viene richiuso fragorosamente e una sirena segnala la nuova discesa. La sua prima discesa nelle budella di quella terra straniera, sconosciuta e nera. La gabbia, dopo un leggero scossone sembra sprofondare nel buio del pozzo. La discesa veloce sorprende Angiolino mozzandogli il fiato, istintivamente si aggrappa al compagno vicino, questi non si volta nemmeno, se lo aspettava, fanno tutti così i pivellini. Angiolino, sente lo stomaco sollevarsi, mentre la discesa vertiginosa sembra non finire più. Poi la brusca frenata, e ancora lo sferragliare della gabbia; il cancello che si apre e il giovane viene spinto fuori mentre altri minatori montano nell’ascensore. Il gruppo che è appena sceso si avvia dentro la galleria.
Il compagno lo strattona, e quasi lo trascina, gli parla, ma Angiolino non sente, il rumore e lo stordimento lo hanno ipnotizzato, segue il collega come un automa. Percorso qualche centinaio di metri, il gruppo sale su un vagoncino adattandosi alla meglio. Angiolino, sempre nel suo torpore, sale, si accovaccia come gli altri e aspetta. Qualche strattone e il trenino parte. Tratti di galleria illuminati si alternano ad altri completamente bui, poi ancora una stridente frenata e tutti scendono. Angiolino spaurito non sa quanto si sono addentrati in quel tunnel, non ha nemmeno idea, di quanto sia profondo quel buco; un metro o un chilometro che differenza fa? A lui manca l’aria, il sole, la sua casa, la sua terra, sono solo pochi giorni che è arrivato e già sente la nostalgia di casa. Sempre assorto in quei pensieri il giovane si avvia dietro agli altri e a piedi percorrono centinaia di metri, avvicinandosi sempre più ad un sordo fragore di martelli pneumatici, fino ad arrivare all’imbocco di uno stretto budello laterale debolmente illuminato e dove la polvere nera e soffocante, aleggia pesantemente nell’aria. Il caposquadra si ferma, impartisce ordini, raccomanda agli anziani di seguire ed istruire bene i novizi. Angiolino segue passo, passo il compagno che lo precede in quel cunicolo sempre più stretto, dall’aria irrespirabile e dal rumore assordante di martelli pneumatici, dove per farti capire devi sempre gridare vicino alle orecchie del compagno.
Alla fine del turno, Angiolino ripercorre il tragitto all’inverso, fino all’ascensore che lo riporta in superficie, dove li attende un gruppo pronto a dar loro il cambio. Solo quando arriva nella sala docce, togliendosi la camicia e i pantaloni, Angiolino si accorge di essere nero come tutti gli altri. Esattamente come quelli che aveva incontrato mentre stava per salire nella gabbia, che l’avrebbe portato in quel pozzo, che sembrava non avesse mai fondo. La sua prima doccia lì tutti assieme, nella stanza dei “pendùs”, (impiccati) così chiamata per la singolare tecnica di stoccaggio degli abiti appesi a delle corde e issati fino al soffitto ad asciugare. Mentre si lava freneticamente da quella polvere nera e appiccicosa, mentre si raschia la pelle come se volesse cancellare ogni traccia di quella giornata all’inferno, la sua mente corre ancora al paese, al sole, ai campi, al vento, a quel vento caldo, che a volte, nelle sere d’estate, portava con se l’odore del mare. Lavorare la terra con la sola forza delle braccia è un lavoro durissimo, ma non era niente in confronto ad una giornata con un martello pneumatico in mano, in un tunnel talmente basso da essere costretti a lavorare in ginocchio, e poi quella polvere acre che entra nel naso, nella bocca, negli occhi; che si impasta con la saliva e che ti fa sputare continuamente. Dopo dieci ore, Angiolino esce e respira di nuovo l’aria pura all’esterno della miniera, si riempie i polmoni e guardandosi intorno giura a se stesso: Io la dentro non ci torno più! Ma al mattino successivo, preso il coraggio a due mani e spinto dal ricordo della fame che attanagliava il suo paese, Angiolino è di nuovo davanti a quella gabbia sferragliante che lo porterà di nuovo giù, a più di quattrocento metri sotto terra. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, Angiolino non riesce ad abituarsi a quel lavoro. Lavora come un forsennato, riesce a raggiungere il massimo della produzione tutti i giorni, guadagnando i premi del cottimo. Un anno! Solo un anno! Giura a se stesso - Poi con i soldi messi da parte torno al paese e compro la casa dove abito, così non avremo più l’affitto da pagare! Il minatore, è un buon mestiere, dal punto di vista del salario. Chi scende nella miniera, è pagato bene, molto di più di qualsiasi altro lavoratore e le “primes*” del cottimo. (*Prime = Premio supplementare in denaro per incentivare la produzione individuale) Il rischio è grosso, ma il salario è proporzionato. Angelo passa le settimane tra lavoro e il riposo nella baracca. Risparmia su tutto; niente bar con gli amici, niente uscite la domenica, niente ballo. Mangia il minimo indispensabile, vuole accumulare, vuol scappare via lontano tornare al suo paese. Passa le serate a fissare il soffitto scuro della baracca, calcolando giorno dopo giorno, quanto gli manca per arrivare a comprare il casolare dove sua madre lo aspetta. In un paese come il suo, negli anni dell’immediato dopoguerra, dove tutti fuggono via alla ricerca di lavoro altrove, le case si comprano a poco. Angiolino è convinto che con un anno di risparmi riuscirà a comprarla e a farci anche qualche lavoretto per ristrutturarla. Qui, in questo paese nero, le sue forti braccia di contadino italiano, rendono meglio di quanto avrebbe sperato. Ma un anno, pur lungo, passa veloce e Angiolino riflettendo a quanto aveva racimolato, ragiona e pensa: . Ma se compro la casa e sono ancora senza lavoro, cosa mangio? – Riflette a lungo sulla questione e fatte tutte le considerazioni, malgrado la sua avversità a scendere in quel budello nero di carbone, decide che rimarrà ancora un anno, uno soltanto, per potersi comprare anche un pezzo di podere: - Tanto la terra vale ancora meno delle case, con un anno o poco più di stipendio, mi compro tutto il podere e così avrò anche il lavoro. Al solo pensiero i suoi occhi brillano e continuano a brillare anche giù in fondo al tunnel invaso dalla polvere di carbone. E i mesi passano e arriva ai due anni, e poi tre, ma Angiolino continua a riflettere e a sognare, e a questo punto in cui deve decidere se partire o rimanere un pensiero lo assilla: Ma se ho la casa e tanta terra, non la posso lavorare tutta a braccia e da solo! Si dice che ha bisogno di attrezzi, magari un bel trattore nuovo come quello che vide scintillante rosso fuoco, sulla piazza del paese, il giorno della fiera. Ed allora continua a lavorare in quel cunicolo tra sassi e carbone, tra polvere e bestemmie - Ancora sei mesi! – Urla a squarciagola mentre le sue parole vengono ingoiate dal rumore del suo martello pneumatico. – Ancora sei mesi! Urla di nuovo con rabbia sputando lontano ripulendosi la bocca da quella poltiglia nera, di polvere di carbone che spesso scricchiola sotto ai denti. Il tempo passa e Angiolino pur, pensando sempre alla sua mèta, non può vivere come in galera. Comincia ad uscire, almeno la domenica, solo per non diventare pazzo. Vicino alle baracche c’è la sala da ballo: una baracca più grande delle altre, uno spaccio dove poter comprare un po’ di vino o birra ascoltando il suono di una fisarmonica e tanta voglia di dimenticare che il giorno dopo si deve tornare giù nelle interiora del mostro. Ed è in quella baracca trasformata in sala da ballo, che Angiolino incontra Maddalena, una bella ragazza figlia di un italiano, da tempo trapiantato lì nel nord della Francia. Ben presto è Maddalena a far compagnia alla casa e al podere nei sogni di Angiolino. Certo, non abbandona l’idea di tornare, anzi tornerà: comprerà la casa, il podere, gli attrezzi e avrà anche una moglie per dargli una mano, solo ancora un po’ di pazienza, qualche altro mese e poi… Angiolino e Maddalena si sposano e arriva il primo figlio, mentre Angiolino continua a mettere da parte. Certo, racimola molto meno di prima, ora ha una famiglia. Ai minatori sposati, la società delle miniere dà la possibilità di avere un alloggio migliore: una casa in muratura, nella “cité” Case tutte uguali, le une attaccate alla altre, dai mattoni rosso scuro, a volte anche neri, dette “Corons” Angiolino, ora sogna la casa, il podere, il trattore e avrà anche un figlio che gli darà presto una mano. Ma gli anni passano, arrivano altri due figli, cominciano ad andare a scuola, e quella casa e quel podere laggiù a Montenero di Bisaccia, si allontanano sempre più. I figli si fanno grandi, e un giorno Angiolino torna al paese, ma solo come turista. La mamma non c’è più, gli amici sono spariti, sparsi in tutto il mondo, i parenti lo riconoscono appena, così Angiolino si rassegna, torna nel grigio nord, in fondo quel lavoro così odiato, non è poi così male. In Francia permette di vivere, e chissà un giorno, quando sarà in pensione, potrà finalmente tornare al paese coronare il suo sogno.
Angiolino arriverà alla pensione, vedrà anche cinque nipotini, ma solo la silicosi e il suo vecchio cuore malato, lo strapperanno dal sogno di quel casolare, del podere e di quel trattore rosso, scintillante sotto il sole italiano e quel vento, che nelle sere calde d’estate, porta con se il profumo de mare.
*_*_*_*_*_*_*_*_*_* fine |
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(Librement tiré d’un fait réel)
Montenero de Bisaccia: c’était là qu’était né “Angiolino” (tout le monde l’appelait ainsi à cause de son physique : trapu ; assez petit, les yeux et les cheveux épais et foncés typiques du méridional). Étant orphelin de père, et avec comme seul métier celui demanœuvre dans un pays où le travail était confié seulement aux «caporaux», la vie n’était pas facile. Très jeune il s’enfuit de ce pays où l’on peine à trouver un boulot, même si ce n’est que pour pouvoir manger. Un train, un visa, et à la fin des années quarante le jeune paysan se retrouve catapulté dans un autre monde, invité dans un pays où la terre est sombre et les ciels est gris, avec des baraques en bois puantes et froides, autrefois utilisées dans un camp de concentration. Mais Angiolino, au moins, a trouvé un travail, même s’il s’agit d’un métier dont seul un homme poussé par la faim peut vouloir comme profession : celui de mineur. Désemparé, ne connaissant pas la langue, et à la suite des dizaines d’autres compatriotes désespérés comme lui, il entre pour la première fois au « Carreau de la Mine* » de ce pays du nord de la France (*Carreau = complexe minier formé par le puit d’extraction et par les infrastructures attenantes). Après quelques formalités de routine, il passe directement par le magasinoù on lui donne un casque en cuir à larges bords, sur lequel est fixée une lampe, et une batterie à attacher à la ceinture, puis le voilà parti vers l’ascenseur. Chaque novice est assigné à un mineur plus expertqui a la charge de son instruction, et lui se voit attribuer comme ange gardien un autre Italien avec vingt ans d’expérience sur les épaules. Le jeune, épeuré, le regard perdu à trois cent soixante degrés et l’angoisse au cœur, se retrouve devant la cage de l’ascenseur qui déboule avec un bruit de ferraille du fond des viscères noirs de la mine. Les portes en fer s’ouvrent bruyamment et des hommes fatigués et sales en sortent. Angiolino les regarde avec étonnement, ils sont tous noirs de charbon. Sur ces faces sombres, seuls les yeux fatigués se dessinent avec quelques rares sourires. Des bonjours fugaces, puis de nouveau la cage se remplit un maximum. Les portes se referment bruyamment et une sirène signale la nouvelle descente ; sa première descente dans les boyaux de cette terre étrangère, méconnue et noire. La cage, après une légère secousse, paraît s’enfoncer dans la noirceur du puits. La descente rapide surprend Angiolino en lui coupant le souffle. Instinctivement il s’agrippe à son voisin, mais celui-ci ne se retourne même pas, il s’y attendait, tous les « verts » réagissent ainsi. Angiolino sent son estomac se soulever, pendant que la descente vertigineuse paraît ne plus finir. Puis arrive un brusque coup de frein accompagné du bruit de ferraille de la cage, les barrières s’ouvrent et le jeune est poussé dehors pendant que d’autres mineurs montent dans l’ascenseur.Le groupe qui vient de descendre se dirige vers la galerie.Son compagnon le secoue, il le traîne presque, il lui parle, mais Angiolino n’entend pas, le bruit et l’étourdissement l’ont hypnotisé et il suit le collègue comme un automate. Après quelques centaines de mètres, le groupe monte sur un wagonnet en s’y entassant de son mieux. Angiolino, toujours dans sa torpeur, monte, s’accroupit comme les autres et il attend. Quelques secousses, et le petit train part.Des tronçons de galerie illuminés s’alternent à d’autres entièrement noirs, puis encore un brusque coup de frein et tout le monde en descend. Angiolino, apeuré, ne sait même pas sur quelle distance ils ont pénétré dans ce tunnel, il n’a même pas une idée de la profondeur du gouffre ; un mètre ou un kilomètre, quelle différence ? L’air lui manque, le soleil, sa maison, sa terre. Il n’y a que quelques jours qu’il est arrivé et déjàil sent la nostalgie de chez lui. Toujours pris dans ses pensées, le jeune s’achemine derrière les autres. Ils parcourent à pied des centaines de mètres en approchant toujours plus du bruit sourd des marteaux piqueurs, jusqu’à l’embouchure d’un boyaux latéral faiblement illuminé, où une poussière noire, lourdeet étouffante plane dans l’air. Le chef d’équipe s’arrête, impartit les ordres, recommande aux anciens de guider et d’instruire les nouveaux.Angiolino suit pas à pas le compagnon qui le précède dans le trou qui devient de plus en plus étroit, dans l’air irrespirable et dans bruit assourdissant des marteaux piqueurs, où pour se faire comprendre tu dois toujours crier dans l’oreille du voisin. À la fin de la pose, Angiolino parcourt de nouveau le chemin à l’envers jusqu’à l’ascenseur qui le ramène à la surface, où un groupe prêt à descendre va prendre son tour. Seulement lorsqu’il arrive dans la salle des douches, en retirant sa chemise e son pantalon, Angiolino s’aperçoit qu’il est noir comme tous les autres ; exactement comme tous ceux qu’il avait croisé avant de monter dans la cage l’ayant transporté dans ce puits qui paressait sans fond.C’est sa première douche, là tous ensemble, dans la salle des « pendus », ainsi appelée à cause de l’étonnante technique de stockage des vêtements accrochés à des cordes hissées au plafond pour pouvoir sécher. Pendant qu’il se lave frénétiquement de cette poussière noire et collante, pendant qu’il racle sa peau comme s’il voulait effacer toute trace de cette journée d’enfer, ses pensées vont toujours au pays, au soleil, aux champs et au vent, ce vent chaud qui parfois, aux soirs d’été, apportait avec lui l’odeur de la mer. Travailler la terre avec la seule force des bras est un travail très dur, mais ce n’est rien à côté d’une journée avec un marteau piqueur dans la main, dans un tunnel tellement bas à en êtres obligés de travailler à genoux, et puis cette poussière âcre qui pénètre dans le nez, dans la bouche, dans les yeux ; qui se mélange à la salive et qui te fait cracher sans arrêt. Après dix heures, Angiolino sort et respire de nouveau l’air pur des environs de la mine, il se remplit les poumons, et en regardant autour de lui il se jure : - là-dedans, moi je n’y retournerai plus ! Mais le jour suivant, prenant son courage à deux mains, et poussé par le souvenir de la faim qui le tenaillait au pays, Angiolino est de nouveau devant la cage dont bruit de ferraille le portera encore en bas, à plus de quatre cents mètres sous terre. Jour après jour, mois après mois, Angiolino n’arrive pas à s’habituer à ce métier. Il travaille comme un forcené, il réussit àatteindre un maximum de rendement tous les jours, et cela en gagnant les primes de production personnelles. Une année ! Une seule année ! se jure-t-il, – puis avec l’argent mis de côté je retourne au pays et j’achète la maison où j’habite, ainsi nous n’aurons plus de loyer à payer ! Celui de mineur c’est un bon métier du point de vue salaire. Il descend dans la mine et il est bien payé, bien mieux que n’importe quel autre travailleur, et avec en plus les primes pour la production individuelle. Le risque est grand, mais le salaire estproportionnel. Angelino passe les semaines entre le travail et le repos dans la baraque. Il épargne sur tout ; pas de bistrot avec les copains, pas de sorties le dimanche, pas de bal. Il mange le minimum indispensable, il veut accumuler, il veut s’enfuir au loin pour retourner dans son pays. Il passe les soirées à fixer le plafond sombre de la baraque en calculant, jour, après jour, combien il lui manque pour pouvoiracheter la petite maison où l’attend sa maman. Dans un village comme le sien, dans l’immédiat après-guerre, lorsque tous fuient ailleurs à la recherche d’un travail, les maisons se vendent bon marché. Angiolino est convaincu qu’avec une année d’épargnes, il réussira à l’acheter et aussi à y faire quelques petits travaux de restructuration. Ici, dans ce pays noir, ses bras puissants de paysan italien sont plus rentables que ce qu’il avait espéré. Mais une année, aussi longuequ’elle soit, passe rapidement et Angiolino en réfléchissant à ce qu’il a mis de côté, raisonne et pense : -, Mais si j’achète la maison, et que je suis toujours sans travail, que vais-je manger ? – il réfléchit longuement sur la question et ayant fait toutes les considérations, et malgré sa répugnance à redescendre dans ce boyau noir de charbon, il décide qu’il restera un an de plus, un seulement, pour pouvoir aussi acheter un lopin de terre : - De toute façon la terre vaut moins que les maisons, donc avec un peu plus d’un an de salaire, je m’achète tout le terrain autour et ainsi j’aurais même un travail. À cette seule pensée, ses yeux brillent et ils continuent de briller même au fond du tunnel envahi par la poussière de charbon. Et les mois passent et il arrive aux deux ans, et puis à trois, mais Angiolini continue à réfléchir et à rêver, et au moment où il doit décider de partir ou de rester, une pensée le tracasse : - Mais, si j’ai la maison et autant de terre, je ne pourrais pas la travailler seul ! Il se dit qu’il a besoin d’outils, et peut être d’un beau tracteur tout nouveau comme celui qu’il avait vu, étincelant et rouge, sur la place du village le jour de marché. Alors il continue de travailler dans le boyau, entre les pierres et le charbon, entre la poussière et les jurons : - Encore six mois ! –Hurle-t-ilpendant que ses paroles sont avalées par le bruit de son marteau piqueur. – Encore six mois ! Hurle-t-il à nouveau avec rage en crachant au loin et en se nettoyant la bouche de cette bue noire, faite de poussière de charbon, qui parfois craque sous le dents. Le temps passe et Angiolino, tout en pensant à son but, ne peu plus vivre comme dans une prison. Il commence à sortir au moins le dimanche, uniquement pour ne pas devenir fou. Près des baraques, il y en a une plus grande qui sert de salle de danse, avec un comptoir où l’on peut acheter un peu de vin ou de la bière, en écoutant le son d’un accordéon qui donne envie d’oublier que le lendemain on doit retourner là-bas, dans l’intestin du monstre. Et c’est dans cette baraque transformée en salle de danse, qu’Angiolino rencontre Maddalena, une belle demoiselle, fille d’un italien installé depuis longtemps dans le nord de la France. Bientôt, dans les rêves d’Angiolino, l’image de Maddalena s’ajoute à la maison et à la terre. Bien sûr il n’abandonne pas l’idée de rentrer, au contraire, il rentrera : il achètera la maison, la terre, les ustensiles et il aura aussi une femme pour l’aider. Seulement encore un peu de patience, encore quelques mois et puis… Angiolino et Maddalena se marient, ensuite arrive le premier enfant, pendant qu’Angiolino continue à épargner. Certes, maintenant qu’il a une famille, il amasse beaucoup moins d’argent qu’avant. Aux mineurs mariés, la société minière donne la possibilité d’obtenir un meilleur logement : une maison en dur dans une cité où toutes les habitations sont pareilles, les unes attachées aux autres, avec des briques rouge foncé ou même noires, qu’on appelle « Corons ». Angiolino, maintenant, rêve de la maison, de la terre et du tracteur, et il aura aussi un fils pour lui donner un coup de main. Mais les années passent, d’autres enfants arrivent, ils commencent à aller à l’école, et cette maison, et cette terre là-bas, à Montenero de Bisaccia, s’éloignenttoujours plus. Les enfants deviennent grands, et un jour Angiolino revient au pays, mais seul, comme un touriste. Sa maman n’est plus là, les amis ont disparu, éparpillés de par le monde, les parents le reconnaissent à peine, ainsi Angiolino se résigne, il retourne dans ce nord qui est si gris. Au fond, ce travail tant hait, n’est pas si mal. En France ilpermet de vivre, et qui sait, un jour, lorsqu’il sera pensionné, il pourrafinalement revenir au pays pour couronner son rêve.
Angiolino arrivera à la retraite, il aura même cinq petits-enfants, mais seulement la silicose et son vieux cœur malade l’arracheront au rêve de cette maisonnette, de cette terre, de ce tracteur rouge et étincelant sous le soleil italien, et de ce vent qui, dans les soirs d’été, apporte avec lui le parfum de la mer. *_*_*_*_*_*_*_*_*_*
(traduction de Gaby Mazzantini) |
Gaby Mazzantini in compagnia di un vecchio minatore in Belgio